“La morte non è niente. E’ come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, continua a ridere di quello che ci faceva ridere, delle cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.” Queste parole scriveva poco più di un secolo fa il teologo e scrittore britannico Henry Scott Holland.
Quasi nello stesso periodo si diffonde, a seguito degli esperimenti di un medico su alcuni pazienti prossimi al trapasso, una leggenda metropolitana che molti anni dopo darà il titolo ad un bellissimo film secondo la quale al momento della morte il corpo umano perde 21 grammi del proprio peso. Ulteriori analisi hanno dimostrato in realtà l’infondatezza delle tesi del Dottor Duncan Mac Dougall, eppure ancora oggi, per tanti, quei 21 grammi rappresentano la parte più preziosa degli esseri umani, l’unica cosa che gli è concessa portare con sé nel viaggio che li attende alla fine della vita.
Highhill è una cittadina perduta nelle colline del Galles, anonima, sola. Non ci sono monumenti, luoghi d’interesse, locali in cui andare a divertirsi. L’unica cosa che vi si trova oltre una dozzina di casette è un radiotelescopio anch’esso fermo e silenzioso come lo Spazio. Non succede mai niente ad Highhill, la vita scorre tranquilla o noiosa a seconda di come la si voglia vedere, fino a che, una sera, dal nulla il radiotelescopio inizia a captare una frequenza, proveniente da un punto sconosciuto dell’Universo a indefiniti anni luce di distanza. La cosa attrae immediatamente l’interesse della Scienza che mobilita i suoi migliori uomini per far luce sull’entità del fenomeno. Per alcuni quei suoni registrati non sono altro che un fruscio, un disturbo, un’interferenza che può avere tante cause; per il Professor Humbert Coe invece è qualcosa di più. Per lui e i suoi colleghi quegli impulsi sono suoni, parole, frasi di quella che potrebbe essere ciò che i Linguisti chiamano Lingua Madre, da cui tutte le altre hanno avuto origine.
Ben presto tra gli abitanti del villaggio inizia a circolare il malumore. Highhill non è abituata alla presenza di così tanti stranieri e in più negli ultimi tempi sono successe cose brutte ai bambini. Alcuni hanno cattivi pensieri, dicono di aver visto strane cose sulla collina e una di loro, la piccola Eilidh, è scomparsa nel nulla.
Non c’è da aspettarsi nulla di buono da tutti quei visitatori dai vestiti troppo eleganti per un posto come quello, e come se non bastasse altri due uomini venuti da Londra a bordo di una vecchia Mini se ne vanno in giro chiedendo di parlare con la madre della bambina scomparsa.
Juliet Jones, impiegata come addetta alle pulizie del radiotelescopio, racconta all’investigatore e al suo aiutante quanto gli è stato riferito da Eoghainn, compagno di scuola di Eilidh e ultimo testimone ad averla vista il giorno della scomparsa. Durante la gita di classe, mentre giocavano sulla collina, il bambino ha visto l’amica allontanarsi come attirata da qualcosa che lui, però, non riusciva a vedere. Pochi attimi dopo di lei non è rimasta traccia, come fosse stata portata via da un’invisibile presenza.
Ben presto, nel tentativo di riportarla a casa, le strade dei due uomini inglesi incroceranno quella del professor Coe e delle indagini in corso al radiotelescopio. Nel frattempo l’insofferenza degli abitanti del posto cresce, e quando anche Eoghainn scompare nel buio oltre la collina, il panico si diffonde; forse la presenza degli stranieri e gli eventi che stanno succedendo non sono una coincidenza.
“Dylan Dog – Lassù qualcuno ci chiama”, mensile numero 136 della serie Bonelli è sicuramente la storia più poetica e introspettiva scritta da Tiziano Sclavi, un immenso, commuovente racconto di quello che resta delle persone che abbiamo amato dopo che se ne sono andate. Se da una parte la vicenda delle scomparse dei bambini si conclude con un amaro epilogo che nulla ha di soprannaturale ma testimonia tutta la spaventosa casualità dell’esistenza umana, la provenienza del messaggio registrato dal radiotelescopio di un remoto insediamento tra le campagne gallesi resta inspiegabile, almeno per la Scienza. Così, raggiunto il limite oltre cui la ragione non riesce a spingersi, non resta che aggrapparsi alla Fede, al bisogno di credere che forse non è tutto qui, che oltre il corpo ci sia qualcosa di più e per cui sia valsa la pena aver lottato e sofferto.
Secondo i pellerossa della tribù dei Lakota, l’Universo sarebbe composto da una enorme quantità di energia. Quando una persona muore il suo “Ni” (respiro) lo abbandona e torna alla Natura dalla quale nasce la vita. Il Ni non si può uccidere, lo spirito del defunto continua a vivere nel vento che soffia, negli alberi che fioriscono, nell’acqua che scorre. Nessuno se ne va via per sempre, ciò che ognuno è stato continua ad essere tutto intorno a chi è rimasto, in ogni battito della Terra e dello Spazio. L'inchiesta sul radiotelescopio verrà archiviata come uno stupido scherzo anche se ben riuscito, Highhill tornerà al suo tranquillo letargo. Il Professor Humbert Coe, il cui nome non è altro che l’anagramma del grande linguista e scrittore Umberto Eco, continuerà a cercare prove dell’esistenza di una lingua all’origine di tutto e che forse tutti lega dall’altra parte, Dylan Dog e Groucho torneranno a casa senza aver risolto il caso mentre Juliet Jones troverà la forza di andare avanti aspettando un nuovo messaggio dal mondo dove deve credere si trovi ora sua figlia, in quella stanza accanto lassù, da qualche parte in mezzo al cielo.
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