Quando nel 1956 arriva in Italia la prima edizione del romanzo “I fantasmi del cappellaio” di Georges Simenon il paese sta sperimentando sulla propria pelle la più grande trasformazione demografica del millennio. Le grandi città di dieci anni prima diventano metropoli, i piccoli centri diventano città e le periferie vengono cementate. Nei ridenti paesini, ai piedi delle montagne, ci vivono sempre meno persone.
Tra chi si trasferisce per lavoro, per necessità e chi in cerca di opportunità i grandi centri vengono letteralmente invasi. Si parlano dialetti diversi, si hanno storie diverse alle spalle e diversi obiettivi.
Non stupisce più di tanto che in questo contesto il capolavoro di Simenon faticò parecchio a farsi apprezzare, finendo per lasciare una tiepida traccia del suo passaggio nelle librerie.
In un piccolo borgo della Francia, La Rochelle, si conoscono tutti, e tutti conoscono il Signor Labbè, rispettabile gentiluomo di professione cappellaio. Conduce una vita tranquilla, di giorno lavora e la sera, prima di rincasare, si concede una partita a carte con gli amici del circolo. Una sera di pioggia, mentre è impegnato al tavolo da gioco, un signore seduto nelle vicinanze fa notare al cappellaio qualcosa che gli sta cadendo dal risvolto dei pantaloni, che da lontano sembrava una specie di filo. Poco più tardi, mentre sta rincasando, il signor Labbè è terrorizzato.
Quello che il Signor Kachoudas, il sarto del villaggio, ha visto poco prima spuntargli dal risvolto non era un filo, ma un ritaglio di giornale che il cappellaio usa per mandare lettere di scherno alla Gendarmerie di La Rochelle dopo ogni delitto commesso negli ultimi mesi. Nelle vie non si parla d’altro che del killer misterioso, e fino ad allora il signor Labbè non aveva lasciato alcuna traccia, ma pochi minuti prima Kachoudas aveva raccolto da terra una delle lettere ritagliate. Aveva capito?
Da quel momento inizia un gioco di sospetti, una partita a carte tra il sarto e il cappellaio. A carte coperte, perché bisogna salvare le apparenze e far finta di niente per il momento. Già, perché il signor Labbè e il signor Kachoudas vivono e lavorano nella stessa strada, uno di fronte all’altro.
Se fu proprio quell’ambientazione rurale che le nuove generazioni sognavano di lasciarsi alle spalle a penalizzarlo all’uscita (italiana, la prima edizione del romanzo risale al 1949) oggi, assuefatti come siamo alla vita cittadina, è l’aspetto, insieme alla trama a dir poco geniale, che più ce lo fa apprezzare.
Lo spaccato di un modo di vivere che ai nostri giorni non riusciamo a comprendere del tutto, comunitario e per tanti versi campanilistico, è quello che ci offrono Fabrizio Accatino ed Eleonora Dea Nanni in “Le nebbie di Boisbonnard”, edito questo mese per “Le Storie” da Bonelli.
L’episodio segue due archi narrativi collegati. Tutto inizia nel 1921 nella comunità di Boisbonnard, 600 anime che frequentano la stessa piazza, pregano nella stessa chiesa, si riuniscono nella stessa taverna, vivono la stessa monotona vita. Un freddo mattino di Gennaio la giovane e bella Zèphrine, nipote del fioraio addetta alle consegne, viene ritrovata cadavere, seviziata e barbaramente uccisa.
Al funerale della ragazza partecipa tutto il paese, stringendosi in lutto; poi, col passare dei giorni, iniziano a circolare voci, qualcuno dice di aver visto qualcosa, qualcun altro di averla sentita, e inizia a correre la diffidenza e il sospetto. In fondo, quello è un piccolo paesino, i treni ci arrivano raramente e il villaggio più vicino è parecchio distante, l’assassino di Zèphrine è ancora lì, in mezzo a loro.
L’assassino; ognuno a Boisbonnard sembra avere il suo, più per pregiudizio che per fatti concreti, come per pregiudizio la Gendarmerie incolperà un vagabondo muto, perchè l’ultimo arrivato e perché non può difendersi. Anche fra i Gendarmi tanti non ci credono, che quel ragazzo tanto grosso quanto mite sia capace di uccidere. Uno di loro, soprattutto, è convinto di sapere chi sia in realtà il colpevole.
Anche tanti anni dopo, nel 1939, con l’inverno alle porte, crede ancora di saperlo, e di avere sotto mano le prove. Ha perso la moglie, non è più in servizio e il muto è morto da tempo, nessuno in paese parla più di Zèphrine, tanti sono andati via e chi è rimasto ha accettato l’idea che il killer sia stato scoperto.
Resta solo quell’uomo a cercarla, la verità. Il suo nome non viene mai fatto, è solo uno tra gli abitanti di un paese sperduto, non conta né meno ne più di qualsiasi altro individuo in quella brutta storia, in cerca di un senso a quella misera esistenza, e a quella di una povera ragazza uccisa.
La soluzione? Era sotto i suoi occhi, spietatamente semplice. Verrà a galla quasi per caso, in una lettera buttata su una scrivania che nessuno si era ricordato di aprire tanti anni prima.
Basta distrarsi un attimo, non prestare attenzione a qualcosa che non si vuole ascoltare, e le cose prendono un verso diverso, quello che ci fa più comodo, e così un uomo interrogato in un commissariato si butta da solo da una finestra e un paio di contadini vecchi e tremanti pagati da qualcuno a cui piacciono i pezzi di cadavere diventano gli assassini di tanti poveri ragazzi. In fondo Boisbonnard è più vicina di quanto crediamo, ci siamo tutti dentro. Vogliamo solo il colpevole, della verità, in fondo, poco ci importa.
Se vuoi essere tempestivamente aggiornato su quello che succede a Salerno e provincia, la pagina facebook di Misterstudent pubblica minuto per minuto notizie fresche sulla tua home.
Misterstudent è una testata giornalistica registrata - Registrazione del Tribunale di Salerno n.1910 del 25 ottobre 2011