Immaginate di essere a New York nel 1928. E’ il 28 Novembre e nella metropoli americana affacciata sull’Oceano, che odora di scarichi d’automobili, di fumo e di cemento fresco si accendono le prime luci della sera.
I rumori dei cantieri e degli uffici lasciano il posto alle urla che vengono da Coney Island, ai fischi delle persone che chiamano i taxi e alle risate dei giovani all’ingresso dei Fast Food e dei cinema.
Ecco, immaginiamo di entrare insieme a loro al Colony Teathre, una delle tante sale che portano l’ottava arte, la più giovane, la più coinvolgente, agli occhi e ai sensi di milioni di persone.
Ci state pensando? Bene, adesso lasciamo quella sala piena sospesa li, come una vecchia foto, immobile, e torniamo indietro, sempre a New York, di qualche mese. Siamo in Marzo, e stavolta in uno di quegli uffici fatti del ticchettio delle macchine da scrivere, di fogli appallottolati e cenere di sigarette.
Per Walt, che quello studio l’ha creato con i soldi che guadagna facendo il regista di piccoli cortometraggi , non è affatto un bel giorno. Fare il regista a quei tempi è come fare qualsiasi altro mestiere, per sfondare davvero non basta dirigere, per essere qualcuno devi “creare qualcosa”. E Walt qualcosa l’aveva creato e in un campo che era nuovo anche per il cinema: quello dell’animazione.
Lo aveva chiamato “Oswald il Coniglio Fortunato”, e quando la Universal aveva accettato di distribuirlo per lui era stata una grande soddisfazione, tanto che il giovane a tutto aveva pensato tranne che a “mettere le cose in regola” in materia legale. A quel tempo infatti, in mancanza di altri accordi, la legge stabiliva che i diritti di un personaggio andassero in automatico a chi lo distribuiva, e così, ben presto, la società di distribuzione si prese Oswald e tanti saluti a Walt. Ub Iwerks, capo disegnatore dello studio Disney e migliore amico di Walt, aveva provato ad avvertirlo, ma come si dice “quel che è stato è stato”, e ai pochi artisti rimasti fedeli a Walt (il resto si erano tutti trasferiti, ben retribuiti, alla Universal) non resta che ricominciare da capo. L’importante, in fondo, nel mondo del Cinema di quel tempo era non restare senza idee.
E un’idea, in effetti, il ragazzo di Chicago se la fa venire. Si ricorda che, ai tempi in cui lavorava in un altro studio, aveva trovato e ammaestrato un topolino che viveva nel suo ufficio. Insieme a Ub lavora giorno e notte, e il 15 Maggio, dopo nemmeno due mesi, i due proiettano davanti ad una ristretta platea “L’aereo impazzito”.
Il corto, muto, non riesce a trovare un distributore, ma Walt, che a questo punto non ha più niente da perdere, decide di investire tutti i suoi risparmi nella produzione di un altro cortometraggio, utilizzando stavolta la tecnica del “sonoro”, che aveva esordito pochi mesi prima.
“Steambot Willie” vede il topo, che nel frattempo non si chiama più “Mortimer” perché per sua moglie era troppo minaccioso come nome, combattere a bordo di un battello a vapore con un gatto ciccione e prepotente, “Pete Leg Pete”, “Gambadilegno” in italiano.
E così possiamo tornare all’inizio di questa storia, in quel cinema dove Stemaboat Willie viene proiettato per la prima volta in pubblico mentre, dietro le quinte, Walt Disney si gioca, in pochi minuti, tutta la sua vita e i suoi sogni.
Com’è andata non serve immaginarlo, lo sapete già.
Il successo è tale che in meno di due anni verranno prodotti ben sedici corti. Nel frattempo, oltre al cinema, un’altra arte sta iniziando a far sognare le persone: il Fumetto.
Le prime strisce del topo sono firmate dai suoi due creatori, e lo vedono protagonista di avventure in linea con i corti cinematografici, fino a che, nel 1930, alla “Walt Disney’s Studios” arriva un giovane di nome Floyd Gottfredson, che scrive e disegna la storia “Nella valle della morte”.
In pochi anni Gottfredson prende il topo per mano e gli costruisce intorno una città e la maggior parte dei personaggi che oggi popolano il suo mondo.
Il topo entra, si può dire, nelle case di tutto il mondo. In Italia una rivista che porta il suo nome nasce nel 1949 ed è da oltre mezzo secolo il fumetto più venduto nel nostro paese.
Ne ha vissute di storie il topo da allora! Ha risolto gialli complicati, combattuto nemici fortissimi, viaggiato nel tempo e tante altre cose, ma queste sono, appunto, altre storie.
La nostra finisce o, per meglio dire, inizia qui, in quella sera del 1928 che abbiamo provato a raccontarvi.
A proposito, il topo decisero di chiamarlo “Mickey”, e per tutti noi oggi è “Topolino”. Forse ne avrete sentito parlare.
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