"Ma io non voglio andare in mezzo ai matti", protestò Alice.
"Oh, non puoi evitarlo", disse il Gatto: "qui sono tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta."
"Come fai a sapere che sono matta?", domandò Alice.
"Per forza", rispose il Gatto, "altrimenti non saresti venuta qui”.
Non esistono molte letture più inquietanti di “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”. Il romanzo scritto da Lewis Carroll (pseudonimo del reverendo Charles Dogson) nel 1865 rende ancora agitati i pensieri di chi lo legge soprattutto perché ci coglie di sorpresa.
Tutti, acquistandolo o prendendolo dallo scaffale della libreria in salotto ci aspettiamo di leggere un racconto fantastico nel senso più comune che diamo oggi al termine. Il Paese delle Meraviglie in cui precipita, inseguendo il coniglio bianco, la ricca e annoiata Alice è invece sì un qualcosa di inesplorato dall’uomo, ma dove l’assurdo e il grottesco dominano.
Carroll, matematico e logico, gioca con la fisica, sovverte l’ordine dei numeri, dando vita a un universo che sembra un’equazione sbagliata, una sequenza binaria di vettori impazziti. Carroll cambia le leggi che governano il mondo, e ciò che viene fuori è il caos.
Alice rimpicciolisce, cresce a dismisura e rimpicciolisce di nuovo fino a perdere la cognizione del proprio corpo, ma sono soprattutto gli abitanti del Paese delle Meraviglie, così cortesi, così allegri, così spensierati nella loro follia a costituire la componente orrorifica del romanzo.
Così come Alice che cade nell’abisso della tana del coniglio, l’immagine di Batman che scompare sotto l’arcata che porta all’ingresso del manicomio Arkham richiama immediatamente a quell’ingresso al regno dei Morti immaginato dalle religioni pagane.
Una volta dentro, ciò che si presenta agli occhi del Cavaliere Oscuro è caos. Joker e gli altri criminali della città hanno già ucciso diverse persone, e i superstiti sono torturati psicologicamente e fisicamente.
Il loro scopo appare chiaro fin da subito. L’hanno attirato li dentro per farlo cedere. Hanno provato a uccidere il suo corpo, non ci sono riusciti, ora tentano di uccidere il suo spirito.
Eccoli apparire, man mano che si addentra per le stanze buie di quella che un tempo fu la casa di Amadeus Arkham, i fantasmi che lo tormentano, i sensi di colpa per la morte dei genitori, la consapevolezza di essere stato impotente di fronte al male quando se l’è trovato di fronte.
Grant Morrison e Dave Mc Kean ci presentano un’opera che scava un solco definitivo nella storia del personaggio, ponendo fine una volta per tutte alla falsa illusione che Bruce Wayne si ostina a vivere. Quella maschera non è la rivincita di un bambino rimasto orfano, ma il rifugio di un uomo pieno di paure, che cammina su un precipizio di follia, il modo migliore, l’unico che ha trovato, per rinchiudere i suoi demoni e farli smettere di urlare. E quel mondo, quel Paese delle Meraviglie che si staglia tra le mura di un vecchio manicomio, così privo di leggi da avere, per quanto spaventosa solo l’idea possa sembrare, un proprio ordine, fa insinuare in lui lo stesso pensiero che inizia a fare impazzire Alice: “che tutto, in fondo, debba andare così?”.
Arrivato al termine del suo viaggio, Batman scoprirà che a liberare i prigionieri e a convocarlo li è stato Cavendish, un medico entrato in possesso dei diari di Arkham. La creatura che aveva perseguitato gli incubi di Amadeus era la stessa che batteva ai vetri della finestra della madre ogni notte, quel qualcosa che aleggiava nella casa rendendola sinistra, spettrale, e che molti anni dopo riapparve alla vista dello scempio dei cadaveri della moglie e della figlia…un pipistrello.
Non Joker, Spaventapasseri, il Cappellaio, ma il dottor Cavendish è artefice di tutto, e il dottor Cavendish lottava contro i mostri.
Batman piomba con un’ascia nel salone d’ingresso e sfonda la porta. Il dottore è morto, gli ostaggi sono liberi. Nessuno sa che dietro la maschera si nasconde Bruce Wayne, quindi nessuno poteva spingerlo di proposito sull’orlo della pazzia. Tutto ciò che ha visto, sentito, è sempre stato dentro di lui.
Nel manicomio Arkham, da poco, c’è un nuovo paziente. Era un ex procuratore distrettuale, poi un giorno è rimasto orrendamente sfigurato durante un processo e da allora ha cominciato a manifestare segni di squilibrio fino a diventare un pericoloso assassino che decide la sorte delle sue vittime tirando una moneta.
Adesso si fa chiamare Due Facce. Batman va da lui e gli dice di lanciarla, se uscirà la faccia intatta sarà libero, se uscirà quella deturpata morirà.
Pochi minuti dopo Jim Gordon e il pipistrello tornano a casa. Due Facce, rimasto da solo, guarda la moneta che stringe ancora in mano. Era uscita la seconda faccia, ma ha finto il contrario. Gettando via il mazzo di carte sul tavolo di fronte a lui mormora la stessa frase di Alice, ormai precipitata nella follia, di fronte alle carte da gioco che l’hanno condannata a morte: “Chi se ne frega di voi? Non siete che un mazzo di carte”.
Scompiglia un paio di carte e il gioco è fatto. Tutto, inevitabilmente, crolla.
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