Da un paio di settimane, approfittando di un periodo di maggiore tempo libero e, forse, per rifuggire la noia che questi finiscono inevitabilmente per procurarmi, mi sono rituffato, o di nuovo forse rifugiato, nella lettura che più mi piace, il Giallo.
Due piccole curiosità. La prima, il termine è usato solo nel nostro paese e nasce nel 1929, quando Mondadori pubblica la collana “Il Giallo”, che raccoglieva il meglio dei romanzi polizieschi dell’epoca ciascuno dei quali aveva, pensate un pò, la copertina di colore giallo.
Banale vero? Eppure, il più delle volte, gli stessi Gialli ci insegnano che la risposta esatta ad una domanda è proprio la prima che ti viene in mente, la più facile.
Prendiamo Agatha Christie, che per me è stata e resta la più grande autrice del genere. Ogni volta che leggiamo un suo libro, arrivati alla soluzione, ci accorgiamo che questa è sempre stata sotto i nostri occhi, che la prima impressione, che avevamo accantonato perché sembrava troppo ovvia, era quella giusta, a dimostrare che le cose e le persone sono spesso proprio ciò che appaiono, senza bisogno di andare a scavare più a fondo.
Seconda curiosità. La “Regina del Brivido” odiava Poirot. Avete capito bene, non poteva soffrire il suo personaggio più famoso, il detective belga dall’ego e dalla vanità smisurate, protagonista di titoli immortali come “Assassinio sull’Orient Express” , “L’assassinio di Roger Ackroyd” e “Se morisse mio marito”. Pensate, in un’intervista dichiarò, a proposito del personaggio, di continuare a scriverne solo per obbligo verso i lettori e le case editrici, ma di considerarlo “un pesante fardello”.
Ecco, una volta conclusa “Orfani – Ringo”, la seconda serie di “Orfani”, non ho potuto fare a meno di chiedermi se a Roberto Recchioni sia davvero piaciuto, al di la delle solite dichiarazioni di facciata, scrivere su un personaggio come Ringo, perché se prendiamo i protagonisti delle sue storie fino ad oggi (non ultimo quel Battaglia di cui abbiamo parlato settimana scorsa) questo qui non sembra nemmeno uscito dalla sua fantasia.
Che il Pistolero avesse lasciato più di qualche dubbio in quanto a caratterizzazione lo avevamo già detto, e l’ulteriore trasformazione in padre (biologico e spirituale) e maestro di vita ha solo aggiunto ulteriore confusione. La sensazione, insomma, che quell’Eremita, che prima di spararsi un colpo in testa in mezzo a rivoluzionari da un lato e soldati fedeli dall’altro dichiara, freddo, che tutto ciò che ha fatto nella sua vita era “solo per Sam”, fregandosene di ogni ideale, sia stato troppo (davvero troppo) mal sfruttato diventa sempre più forte.
Eppure, almeno all’inizio, gli ingredienti per vedere qualcosa di meglio in questa seconda annata sembravano esserci. Anzitutto l’entrata in pianta stabile ai testi di Mauro Uzzeo e Luca Vanzella, che se non altro avrebbero assicurato una maggiore varietà di linguaggio rispetto al solo Recchioni, e poi un paio di trovate che, sebbene non di certo originali, avrebbero fornito da spunto per impreziosire un po’ una trama davvero scarna.
La prima, il “viaggio” compiuto dai personaggi in un’Italia distrutta in mano alla perfida Professoressa Juric, verso quel “Nuovo Mondo” che rappresenta la speranza di una rinascita dell’umanità dalle sue ceneri in fondo funziona. La seconda, Rosa (che sarà la protagonista della terza stagione), Seba e Nuè, che dovrebbero incarnare questa speranza e che, insieme a Ringo, sono di fatto i protagonisti della serie, decisamente no, per lo stesso motivo per cui non funzionavano Boy Scout, la Mocciosa Sam e compagnia…sono completamente e desolantemente vuoti, la copia vista e rivista di altri adolescenti di guerra raccontati in tante, troppe altre occasioni.
Che dire, potremmo parlarvi di una squadra di disegno senz’altro buona, di sequenze d’azione sicuramente ben costruite nel ritmo, e di una Napoli capitale post apocalittica che è forse il pezzo migliore, ma vorrebbe dire gettarsi inutilmente alla ricerca di qualcosa di più complesso quando la verità ce l’abbiamo sotto il naso. “Orfani”, dispiace dirlo, è un fumetto brutto, anche se è stato ideato da uno dei migliori autori in circolazione, anche se è la prima serie interamente a colori di casa Bonelli.
Incredibile, ma è così. Del resto, come diceva Sherlock Holmes avvolto nel fumo della pipa mentre rifletteva nel suo studio di Craven Road, prima di Poirot, Miss Marple, Nero Wolfe , Ellery Quinn e Maigret?
Ecco, “una volta eliminato l’Impossibile ciò che resta, per quanto improbabile possa sembrare, DEVE essere la verità”.
Un’ultima cosa. Un anno fa, di questi tempi, Nuvole d’Arte si apprestava a fare il suo esordio, e grazie a voi siamo ancora qui. Appunto, grazie.
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