Facciamo un gioco. Immaginiamo di essere un ragazzo alla soglia dei trent’anni che si guadagna da vivere scrivendo fumetti nella casa editrice del padre.
Siamo a Milano, gli anni ’60 si affacciano sull’Italia insieme al boom economico. Sono gli anni della 500, della Vespa, delle ferie e delle spiagge piene, delle code in autostrada, dei juke box che cantano il rock e delle folle che ridono nei cinema coi film di Totò.
Le nuove generazioni dell’epoca sono le prime a non aver conosciuto la guerra, quelle vecchie, di fronte a tutto quel nuovo che li circonda, sembrano finalmente dimenticarla.
I ragazzi ne hanno di motivi per sognare, girare il mondo come il Marlon Brando in moto e giubbotto di pelle di “Il selvaggio”, rude e intoccabile, o fuggire con Marylin, che stimola le fantasie di ogni uomo.
Se qualcuno di voi fosse Sergio, il ragazzo che scrive fumetti, quale sarebbe il vostro sogno? Scrivere qualcosa che racconti di quella generazione? O magari portare la commedia all’italiana di Totò, Sordi, Manfredi sulle pagine del fumetto? Oppure qualcosa che parli di calcio, sport che in quegli anni diventa fenomeno di massa vero, perché no?
Tutte buone idee, ma Sergio non va così lontano. A lui basta creare qualcosa di suo, che gli permetta di mostrare al mondo che non è solo il figlio del signor Gian Luigi Bonelli, ma prima di tutto un ottimo fumettista che alla Araldo, prima di diventare direttore dopo la madre Tea, ci ha lavorato come tanti altri, da quando si chiamava L’Audace, come magazziniere, portalettere e tuttofare, solo per passione.
Il suo primo fumetto, una storia per “Ciuffetto Rosso”, lo ha scritto nel ’57 con lo pseudonimo di Annalisa Macchi, ma creare qualcosa è più difficile, occorre partire da basi solide e costruire un personaggio che racconti alla gente quello che vuole sentire e vedere.
Lo dirà lui stesso in un’intervista, a quel tempo la gente nel fumetto ricercava il racconto del mito, e il mito più vicino era ancora quello delle selvagge praterie del West americano dell’800, attraversato da avventurieri a cavallo, indiani e uomini di legge.
Niente di male, anzi, per fortuna l’idea è già bella che apparecchiata, se non fosse che il fumetto di punta italiano dell’epoca e proprio un fumetto western, è pubblicato dalla casa editrice di Sergio ed è stato inventato dal padre.
Non proprio un problema da niente, eppure non irrisolvibile, perché a Sergio un paio di idee, e forse più di un paio, vengono in mente. L’idea di base è molto semplice: non conta che ci siano due eroi che vivono nel West, se non si incontrano mai e fanno vite e cose diverse. Quindi, se Tex è lo sceriffo di una piccola cittadina nella seconda metà del secolo dei pionieri, il personaggio di Sergio deve essere un selvaggio che vive come gli indiani in una grande foresta nella prima metà, se Tex ha come aiutanti il figlio e il padre, anch’essi ranger preparati, quell’altro deve essere un solitario che ha visto morire madre e padre in modo terribile e non si fida di nessuno, tranne del suo unico amico, un simpatico fannullone messicano dal buon appetito.
Per scrivere il primo numero l’autore milanese usa lo pseudonimo Guido Nolitta, mentre i disegni sono di Gallieno Ferri.
La prima storia, “La foresta degli agguasti”, viene pubblicata il 15 Giugno del 1961 nel formato a strisce sulla Collana Lampo. E’ nato Zagor, o Za-gor-the-nay, coem viene chiamato dagli indiani.
Il nome, che in realtà è puramente inventato e non discende da nessuna lingua pellerossa, significa “Spirito con la scure”, in onore dell’arma che l’uomo porta sempre con sé in tutte le sue avventure.
In breve tempo ogni possibile pregiudizio di pubblico viene abbattuto, e le avventure di Zagor entrano a far parte dell’immaginario collettivo come quelle del suo predecessore, ma la grande vittoria di Sergio sta nell’ambientazione.
Darkwood, la foresta dove il protagonista e Cico, l’amico ciccione, vivono, è un luogo che mischia le ambientazioni classiche del western con quelle della giungla e abbatte, fin da subito, quelle barriere realistiche che il fumetto di papà Gian Luigi conserverà sempre come punto fermo. Così, più che killer e indiani cattivi, Zagor dovrà combattere contro oscuri miti, antiche leggende e nemici di altri mondi.
In realtà il fantasy, come spesso accade, anche nel mondo di Sergio funge da monito molto più tangibile di quanto si possa credere anche per la realtà che viviamo.I misteri di Darkwood, che da più di cinquant’anni osserviamo ben protetti da dietro le pagine del mensile, che proprio in questi giorni festeggia la sua avventura numero 600, racchiude gli stessi misteri del passato che restano ignoti all’uomo ma, soprattutto, quella velata, indefinita e preoccupante minaccia del futuro, che possiamo solo aspettare, inermi e indifesi.
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