“C’era una volta in America” è il mio film preferito. Di più, è talmente il mio film preferito che non esiste nemmeno un secondo film preferito, ma una lista dei miei film preferiti dopo quello.
L’ultima opera di Sergio Leone è qualcosa di immenso, in cui ogni particolare, anche quello più banale, confluisce verso un significato che forse non riusciremo mai a capire nella sua interezza, qualcosa che non finisce, ma in realtà comincia, con la parola “fine”, perché ad ogni inquadratura, su ogni volto si percepisce il concetto di eterno cui i personaggi si stanno consegnando.
Questo non tanto per quello che si vede (o si sente), quanto per quello che non vediamo. A ben pensarci, dopo quasi 4 ore di film Noodles, piccolo gangster durante l’era del proibizionismo, lo conosciamo appena: i 35 anni che passa lontano da New York coi suoi rimorsi, gli anni di galera che lo trasformano da bambino ad adulto, tutte cose che non sapremo mai. Leone prende scampoli della vita di un perdente e li immortala nel tempo, come una foto di qualcosa che è passato veloce e non abbiamo saputo cogliere, l’amore, l’amicizia, i dettagli appunto.
Pochi, pochissimi personaggi nel mondo dell’arte portano con sé una propria storia che va al di là di quella che si vede, che è scritta o raffigurata.
Zio Paperone è forse il più grande personaggio mai creato nel mondo del fumetto perché porta con sé il tempo che è stato. Il deposito stesso è meravigliosa metafora di questo: ogni dollaro è un’esperienza, un’avventura, un momento che ha lasciato dentro qualcosa.
Nella “Saga di Peperon Dè Paperoni” che Don Rosa pubblicò a partire dall’inizio degli anni ‘90 sulle pagine di “Anders And & Co.”, periodico Disney danese a cura della Egmont, non è narrata solo la storia di Zio Paperone dall’infanzia fino all’incontro con Paperino e i nipoti.
La saga, che all’autore del Kentucky richiese anni di preparazione e studi storici e dell’opera di Barks e si articola in dodici capitoli più vari episodi collegati, è la storia di un sogno, che nasce con una moneta americana rifilata a un piccolo papero scozzese che si guadagna da vivere facendo il lustrascarpe. E’ un’avventura, che comincia su una nave diretta negli Stati Uniti e attraversa quasi un secolo di storia del mondo. E’ un’opera politica, che racconta il mutare di un mondo selvaggio che inizia a toccare con mano il sogno di ricchezza e insieme perde la sua innocenza con l’arrivo del Capitalismo, attraverso la meravigliosa metafora della fine del mito della frontiera e del vecchio west, coi suoi ideali di onore e virilità, per imbarcarsi nella Corsa all’oro nel Klondike dove tutto avveniva in nome del solo denaro.
E’ la storia di un amore, di amici che si perdono per poi ritrovarsi, o che si ritrovano per perdersi. E’ una storia di tante piccole storie di tante piccole o grandi persone, che per un minuto, un giorno o una vita hanno incrociato la strada di Zio Paperone.
Al contrario del film di Leone, Don Rosa costruisce il suo capolavoro mostrando ciò che il vecchio zione può solo ricordare. Stavolta lo spettatore vede ciò che il protagonista stesso non può, ma il principio e il fine sono gli stessi: ricordare, appunto.
Come al vecchio Noodles,che non ci vede tanto bene e con le mani che tremano, non rimangono che vecchie foto per ricordare la donna che ha amato fin da bambino, così al vecchio papero non restano che vecchi cimeli, abiti e oggetti provenienti da ogni parte del mondo.
“Se solo sapesse che il deposito è pieno di ricordi piuttosto che di denaro…” dice un Paperon Dè Paperoni in lacrime nel finale di “Una lettera da casa“ alla sorella.
Eccolo li, Zio Paperone, in tutto quello che è. Il giovane mozzo a bordo dell’ultimo battello a vapore sul fiume Mississippi, il cowboy che cavalca verso il tramonto di un’epoca, il cercatore d’oro prima nelle praterie africane e poi nei ghiacci dello Yukon, il signore di Forte Paperopoli, lo spietato affarista che arriva a sbattere fuori dalla sua vita le proprie sorelle, il papero più ricco del mondo.
Nel finale di “C’era una volta in America” un giovane Noodles si perde tra i fumi dell’oppio mentre nello spettacolo delle ombre cinesi le ombre raffiguranti il bene il male lottano tra loro fino a confondersi.
Le ultime pagine della saga sono per uno Zio Paperone che, messa in fuga la Banda Bassotti grazie all’aiuto dei nipoti che ha appena conosciuto, ritrova lo spirito che ha alimentato il sogno di tutta una vita e si tuffa nell’oro pronto a vivere nuove avventure.
Lì, immerso nei ricordi di una vita, tra gli abbracci della madre e del padre, i tramonti che ha visto da giovane e i baci di Doretta Doremì, finisce la storia di Don Rosa e inizia quella di Zio Paperone.
Noodles dietro lo schermo, imbottito di oppio in quello che potrebbe essere solo il sogno di una mente consumata dai rimpianti, e Paperon Dè Paperoni sulla carta ruvida di quel meraviglioso, è il caso di ribadirlo, mensile che era “Zio Paperone”, che si tiene stretto tutto ciò che ha guadagnato e tutto ciò che ha perso. Distanti in tutto.
Eppure, alla fine del viaggio, entrambi, distesi nell’oro uno e su un lettino a fumare oppio l’altro, a milioni di mondi di distanza,sorridono.
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