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Gravity: Gravità alias sicurezza a due facce

05/02/2015

Matt Kowalski: “Listen, do you wanna go back, or do you wanna stay here? I get it. It's nice up here. You can just shut down all the systems, turn out all the lights, and just close your eyes and tune out everyone. There's nobody up here that can hurt you. It's safe. I mean, what's the point of going on? What's the point of living? Your kid died. Doesn't get any rougher than that. But still, it's a matter of what you do now. If you decide to go, then you gotta just get on with it. Sit back, enjoy the ride. You gotta plant both your feet on the ground and start livin' life. Hey, Ryan? It's time to go home.”


Titolo: Gravity
Regista: Alfonso Cuarón
Sceneggiatura: Alfonso Cuarón, Jonàs Cuarón
Anno: 2013
Genere: Fantascienza, thriller, drammatico, avventura
Attori principali: Sandra Bullock (Dottoressa Ryan Stone), George Clooney (Matt Kowalsky)


Una donna e un uomo: una missione nello spazio. Questo sembra essere banalmente l’incipit di questo fantastico film, vincitore di ben sei premi Oscar alla scorsa edizione del 2014.
Siamo immersi nell’atmosfera dello spazio con effetti speciali spettacolari che mi hanno ricordato tantissimo il capolavoro di Kubrick 2001: Odissea nello spazio, e non solo per le scene dello spazio.
Durante questa missione ci saranno delle complicazioni riguardanti un missile russo che ha colpito un satellite ormai in disuso. I detriti causati da questa esplosione rappresenteranno l’antagonista di questa storia. Dopo la morte degli altri membri dell’equipaggio e delle complicazioni ai motori dello Space Shuttle, rimarranno solo in due i sopravvissuti all’incidente: l’ingegnere biomedico, la dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) e l’astronauta Matt Kowalsky (George Clooney).
I due inizieranno da questo punto una vera avventura spaziale all’insegna della sopravvivenza.

Il film può risultare lento in alcune parti perché non c’è un vero e proprio conflitto se non contro i ritorni orbitali dei detriti.
Personalmente sono rimasto affascinato dagli spettacoli visivi che questo film regala e soprattutto alla tensione alla sopravvivenza dei protagonisti.
La cosa che più mi ha colpito di questo film è il riuscire a mantenere un ritmo di narrazione tendenzialmente alto con soli due personaggi nella storia. Avete capito bene, ci sono solo due attori in questo film (ce ne sarebbero altri due ma sono i membri dell’equipaggio uccisi e si vedono molto marginalmente).
Questo non è dovuto solo agli SFX, ma soprattutto al vero e proprio conflitto quasi interiore della protagonista.
Ella dovrà compiere delle precise scelte tecniche all’interno dello Space Shuttle che cambieranno irreversibilmente l’andamento della storia.
Sandra Bullock è stata molto convincente nel suo ruolo, checché se ne dica delle sue doti recitative scarse in altri lungometraggi.
Il telespettatore si mette nei panni del suo personaggio e riesce ad avvertirne le insicurezze e le paure iniziali. La dottoressa Ryan attraverso un’esperienza onirica riesce a superare queste sue fragilità e compie un atto di forza e coraggio che le permette di crescere e mutare nel corso del viaggio narrativo.
La gravità di cui si parla nel titolo io credo rappresenti la sicurezza. Quest’ultima però viene sdoppiata nella narrazione, prima in una rassegnazione al proprio destino, e poi intesa come ritorno alla natura, come luogo sicuro.
La prima la troviamo nella protagonista che in un momento di completo abbandono a se stessa decide di lasciarsi andare dagli eventi. Ma, grazie ad un avvenimento, riesce a compiere quella svolta che le permette di ricongiungersi al suo “oggetto di valore” come direbbe Gremais.
Tutto ciò converge in una scena finale che personalmente mi ha messo i brividi. Questa è l’altro motivo per cui mi ha ricordato tantissimo l’opera di Kubrick sopracitata e vedendola capirete il perché immaginandovi anche la medesima musica trionfale.

La sicurezza, di cui intendevo parlasse simbolicamente il film, è quella in cui molti di noi giacciono nel momento della loro vita dove devono compiere una scelta abbastanza importante. Le scelte “esistenziali”, se così volete chiamarle, a volte dividono la nostra strada del futuro in un bivio in cui c’è sempre una scelta facile è una difficile. La scelta facile è la sicurezza intesa come rassegnazione al proprio destino, la quale strada si intraprende perché messa a paragone con quella difficile. Attraverso quest’ultima si ha timore di non riuscire a realizzarsi, perché troppo rischiosa, nella quale sì, si può guadagnare tanto ma anche perderlo. La scelta difficile, se intrapresa come via, rappresenta la nostra vera svolta di realizzazione in cui prendiamo in mano la nostra vita accettando noncuranti il rischio. Scegliere ovviamente spetta solo a noi e chissà se guardando questo bellissimo lungometraggio non ci verrà voglia di dare una svolta alla nostra esistenza come ha fatto Ryan, con la consapevolezza delle possibilità di guadagnare o di perdere tutto.
Di una cosa sono certo: dopo la visione di questo film probabilmente penserete, permettetemi l’allusione, che non è sempre corretto il detto (e il consiglio): “Rimani con i piedi per terra”.

Antonio Carmando - ExtraTime - - Vai alla Home

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