Quando ho iniziato a scrivere il mio primo film avevo 16 anni. Quello che avevo in mente era un’idea generale e un paio di personaggi.
Allora credevo che il difficile sarebbe stato far dire ai protagonisti delle belle battute a effetto, roba del tipo “Al mio segnale scatenate l’inferno!”, ma ben presto scoprii di essere bravo a scrivere solo quelle.
Di quella sceneggiatura restano, oggi, una decina di fogli nel cassetto della scrivania.
“Orfani”, la serie ideata da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari che vide la luce nel Settembre del 2013, è andata decisamente più avanti, visto che siamo arrivati al secondo numero della seconda serie, ma la sensazione è che questa testata sia, più o meno, come quel film mai nato: un correre dietro alla frase o al disegno bello che faccia apparire i protagonisti fighi, lasciando il resto di una banalità a volte disarmante.
Banale, sì, perché questa è una saga che si riassume così: “un gruppo di ragazzi trasformato in supersoldati dopo un disastro nucleare si scannano a vicenda da adulti”.
Eppure le premesse, almeno quelle pubblicizzate dalla Bonelli, erano ben altre. La prima serie interamente a colori della casa editrice di Tex e Dylan Dog doveva essere un fumetto nuovo, innovativo nel modo di raccontare, frutto di una combinazione tra generi fantascientifico e sociologico; dopo un anno, questa è solo la prima serie a colori.
La mia personale idea è che Recchioni, molto distratto dal nuovo ruolo di padrino del rilancio di Dylan Dog (ne abbiamo già parlato), sia stato il primo a lasciare i suoi personaggi “Orfani”, limitandosi ad incentrare ben presto la storia su un unico personaggio e a portarla ben presto sul binario del “già visto migliaia di volte”; Mammuccari, invece, ha abbandonato la barca addirittura prima, ammesso che ci sia mai davvero salito.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una storia soporifera tenuta in piedi da continui combattimenti e finali in stile soap - opera per convincere gli spettatori ad acquistare il prossimo numero, e un protagonista meno sorprendente degli schemi tattici di Benitez.
Sì, perché questo Ringo dice cose che sono state dette milioni di volte, fa cose già viste, scrive poesie, si ribella ai potenti, sta dalla parte dei più deboli, è innamorato di un’assassina…è un libro già letto alla prima pagina.
Si poteva trarne qualcosa di meglio? Difficile, perché l’idea di fondo, ripeto, era già banale e ripetitiva.
Certamente si potevano evitare situazioni al limite del ridicolo come alcuni combattimenti presi direttamente da “Matrix” e soprattutto di far morire per primo l’unico personaggio davvero interessante in mezzo a un gruppo di macchiette. In più, una struttura meno schematica avrebbe decisamente giovato.
Dicevamo, in edicola c’è il secondo numero della seconda stagione, che vede il “Pistolero” (così viene chiamato il personaggio) guidare un gruppo di giovani rivoltosi in un’Italia distrutta, contro la perfida mente che ha condotto il genere umano quasi all’estinzione.
Ce ne sarà di sicuro anche una terza, perché pare i dati di vendita siano buoni.
Ben venga, se il prezzo da pagare per produrre fumetti belli è vendere molto quelli brutti, lo accettiamo di buon grado.
Il mio film, nel frattempo, è sempre lì, che aspetta buone idee…
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