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Her(os): un amore sovrumano

13/11/2014

“The past is just a story we keep telling ourselves.”

 

Titolo: Lei (Her)
Regista/Sceneggiatore: Spike Jonze
Anno: 2013
Lingua: Inglese
Attori principali: Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson (doppiatrice di Samantha), Amy Adams, Rooney Mara, Olivia Wilde, Chris Pratt.

 


In un futuro prossimo, non molto lontano dal nostro, uno scrittore di nome Theodore Twombly (Joaquine Phoenix) si innamora di un software. Sì, avete capito bene, di un software progettato col nome di “OS1”. La strabiliante particolarità di questa applicazione, la quale si installa come un qualsiasi altro programma sul proprio computer, consiste nel provare emozioni e stati d’animo. Sarebbe meglio dire che emula al meglio la capacità umana di coscienza e una forma molto vicina al “sentire” umano: il sogno di ogni sviluppatore di programmi di intelligenza artificiale. Il software una volta installato interagisce con l’utente come se fosse una persona (e sentendolo parlare sembra proprio essere una persona in chiamata via web), ed è capace di aggiornarsi ed evolversi automaticamente con il procedere della relazione che instaura con l’utente. Questa evoluzione nel corso del tempo riguarda sia i discorsi, quindi comprensione e analisi del linguaggio, interazione con l’utente in termini di “botta e risposta”, sia la reazione alle conversazioni, quindi propriamente emozionarsi. Inoltre sono incorporate tante altre caratteristiche tipicamente umane come l’ironia, elevata intuizione dei sensi di una conversazione, apprendimento, ricordo e relativa reazione emozionale al ricordo, e infine suggerimenti di scelta di determinate situazioni governate da un senso di soggettività che, ascoltati da un software, facciamo fatica a pensare che sia veramente un qualcosa di inanimato a parlare. Insomma un essere umano adulto e senziente a tutti gli effetti.
La cosa che forse più potrebbe colpirci inizialmente è la voce stessa del software, il quale si assegna da solo un nome: Samantha (doppiata da Scarlett Johansson). Non solo perché magari il tipo di voce può essere gradevole all’udito, ma proprio perché quella voce emana un “calore” tipicamente umano. Qui non si parla semplicemente di una voce a computer, si parla di una donna-software il cui confine con un essere umano femminile è veramente molto labile.
Col passare dei minuti e della storia noi quasi dimentichiamo che lei sia un programma, infatti lo spettatore è in continuo stupore e in continuo dire a se stesso “Ma lei è un software, è solo un software?!”. Eppure Samantha ci fa ridere, ci fa piangere, ci attrae.
Il rapporto che hanno lei e Theodore diventa inizialmente un’amicizia via via sempre più forte: lui è introverso e solo, da poco ha lasciato la moglie e deve solo firmare le carte del divorzio perché quest’ultimo sia effettivo. Lei lo sostiene moralmente, lo fa reagire alla malinconia e alla mancanza dell’ex moglie onnipresenti nelle sue giornate, gli suggerisce e infine lo convince a firmare le carte del divorzio, di uscire con una nuova donna, di andare avanti e affrontare il presente.
Theodore reagisce, prova ad uscire con una donna di nome Amelia (Olivia Wilde), senza molto successo.
Questo insuccesso è dipeso da lui stesso, infatti la sera stessa si lascia consolare da Samantha e i due scoprono di essere innamorati l’uno dell’altra.
Da qui in poi inizia una relazione amorosa a tutti gli effetti, spingendo ai limiti del possibile la relazione tra un essere umano e un software che di per sé è già percepita da noi come “impossibile”. Convivono (ovviamente); escono assieme, lui la porta sempre dietro con sé nel suo cellulare e tramite un auricolare (come si vede nella foto) che permette ai due di interagire; cenano “assieme”. Specialmente in questa ultima situazione lei inizia a ragionare sulla sua incorporeità vista da una parte come lato negativo, perché non può essere presente accanto a Theodore e riuscire a toccarlo: questa a mio parere è la massima percezione che lo spettatore ha dell’umanità di Samantha e del suo suddetto calore, inteso proprio come soffio vitale, essere vivi e animati come se sentissimo il suo respiro su di noi in una forma estremamente tangibile. D’altra parte come lato positivo in quanto può essere sempre presente (nonostante l’assenza corporea e, quindi, non fisicamente parlando) non avendo il vincolo dell’età umana, e quindi della morte.
La regia, la fotografia e le colonne sonore del film sono molto “calde”: i ritmi lievi delle musiche che accompagnano le scene più toccanti, l’uso del rosso nell’arredamento della casa e di colori vivaci nel luogo di lavoro, gli scenari di giorno sempre molto illuminati grazie alle ampie vetrate dell’appartamento di Theodore danno un forte impatto percettivo allo spettatore, donando un’idea di calore per l’appunto, e di apertura verso l’esterno dove quest’ultima non fa pesare la particolarità del film di far vedere poche scene fuori dagli spazi chiusi (scelta del regista per non far capire in che epoca siamo dato che è ambientato in un futuro prossimo).
Un altro esempio di umanità di Samantha è la scena dove i due escono in città e lei gli fa chiudere gli occhi, guidandolo per fargli una sorpresa. Qui Samantha è più presente che mai, come una fidanzatina che mette le mani di fronte agli occhi del ragazzo dicendo “Non aprirli ancora, ci siamo quasi”. In questa scena è la percezione visiva che è espressione di umanità (la cui vista è permessa probabilmente grazie all’ausilio della lente della videocamera del cellulare).
Prima dell’analisi finale volevo un attimo aprire una parentesi sul titolo del film che secondo la mia opinione è una prima presentazione dell’umanità di Samantha. Con il pronome “Lei” ci si riferisce ad una persona e questo è il primo chiaro esempio, ancor prima dell’inizio del film, di personificazione dell’oggetto e la normalizzazione/giustificazione di potersi innamorare di un software percependolo come essere, più che reale, vivo.
In ultima analisi volevo parlarvi del tema centrale del film il quale, come avrete capito, è l’amore. Più che dell’amore in generale, quella che emerge è l’idea dell’amore che viene affrontata, stravolta, rivoluzionata e aperta sfondando tutti i limiti di pregiudizio, morale e desiderabilità sociale.
Realisticamente parlando come si potrebbe mai concepire un amore tra un essere umano e un software (come non è concepibile l’amore tra un essere umano e una qualsiasi entità inanimata)?
Eppure si arriva a concepirlo e ad accettarlo perché l’amore descritto in questo film, a mio parere, è un amore sovrumano, trascende l’essere umano. E’ secondo me la vera essenza dell’amore, come lo si può provare verso un essere animato, così anche per un essere inanimato: ci si innamora di concetti, di idee, di attività, di canzoni, di film, è un senso dell’amore esteso all’infinito.
Concorderete che un amore condiviso con una persona è diverso, perché è fatto di corporeità, di passione, di condivisione e chi più ne ha più ne metta. Il punto della questione è proprio questo: si parla di amore indiscriminato verso qualsiasi cosa, lo stare bene con una persona o con una qualsiasi altra entità corporea o incorporea che ci provoca piacere e un senso di pace e serenità.
Un personaggio molto importante che può sembrare molto marginale è Paul (Chris Pratt) che rappresenta la totale e sincera accettazione del “diverso dal normale, dal comune, dalla consuetudine”. Lui accetta senza neanche pensarci, la relazione tra Theodore e Samantha. Una volta fattogli presente che lei è un sistema operativo, lui risponde che potrebbero cenare assieme con un’uscita a quattro con le rispettive fidanzate.
Un personaggio forse non molto realistico data la sua spontanea accettazione di una non-consuetudine come questa. Lo stesso fa anche l’amica del protagonista Amy, che però anch’essa è in buoni rapporti con un “OS1” quindi la sua accettazione può essere vista come “di parte”.
Questo “sfondamento” dei limiti dell’idea dell’amore non è condiviso da altri personaggi principali come la moglie di Theodore, Catherine. Lei sostiene che è impensabile stare con un software (cosa che di base siamo portati a pensare un po’ tutti) e lo accusa di non saper gestire emozioni reali, per questo ha una relazione del genere. Catherine rappresenta il passato, la sua ex moglie, lui ha sofferto tanto per lei. Il film si chiude con una accettazione del passato da parte del protagonista, quindi del fatto che lui e la sua ex moglie conducono vite diverse. Quest’ultima chiusura/accettazione col passato si può riassumere con una frase fondamentalmente importante di Samantha: “Il passato è solo una storia che continuiamo a raccontarci”.

 

Antonio Carmando - ExtraTime - - Vai alla Home

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