Quelli che mi conoscono, e quanti sono stati più o meno costanti nel leggere questa rubrica, lo avranno certamente intuito. Mia nonna è stata e tuttora è senza dubbio il più fermo tra i punti di riferimento nella mia vita. Il pensiero di cosa sarebbe stato se fosse ancora qui mi tiene spesso compagnia, il riflettere su cosa avrebbe fatto o detto lei di fronte ai dubbi e alle scelte di tutti i giorni mi aiuta a prendere serenamente questa o quella strada.
Una delle parti che preferisco del lavoro che svolgo è la possibilità di entrare in contatto diretto con le persone. Quando bussi a casa di qualcuno non stai mai attraversando solo un battente di legno; stai entrando nel suo mondo, nelle cose che l’hanno reso ciò che è oggi.
Gli appartamenti delle persone anziane si riconoscono prima di tutto dall’odore di pulito e di ordine. Dalla cucina arriva sempre profumo di qualcosa di buono che aspetta i nipoti e del caffè, sui mobili oggetti che vengono da tanti luoghi e da altri tempi. Soprattutto, appese alle pareti o tra le mensole dei mobili in legno vecchio stile ci sono le foto, tante, a raccontare le gioie di una vita passata insieme a chi si è amato e spesso non c’è più, momenti catturati da un otturatore per essere narrati a qualche avventore curioso, la romantica illusione di poter tornare davvero indietro ogni tanto.
Per Emilio, protagonista di “Rughe”, graphic novel scritta e disegnata da Paco Roca edita in Italia da Tunuè, non è facile rimanere ancorato al presente. Il Morbo di Alzheimer gioca brutti scherzi alla sua memoria ed accade ogni tanto perda la reale concezione del tempo e dimentichi cose anche importanti avvenute pochi minuti prima. Una tale condizione è purtroppo invalidante e arriva il giorno in cui perfino per i familiari, troppo presi dagli impegni della vita quotidiana, diventa insopportabilmente faticoso prendersene cura. Così l’ex direttore di banca, ancora distinto nel portamento e gentile nei modi, viene portato via dalla sua casa e sistemato in un istituto di riposo specializzato nella cura delle persone affette da tale malattia.
Nella monotona routine di un grigio edificio, tra l’insopportabile carineria di facciata ostentata dagli infermieri verso i degenti, i pasti consumati in silenzio e le terapie obbligatorie Emilio stringe amicizia con altri coetanei. C’è Felix dal glorioso passato militare, la signora Rosaria che ha trascorso una vita da spirito libero e Renato spesso perso tra i ricordi delle tante imprese sportive compiute in gioventù. Poi c’è Michele, simpatico ed estroverso vecchietto che ama esercitare un po' il ruolo del capogruppo e coinvolge spesso gli altri in avventurose iniziative. In loro compagnia le giornate iniziano a trascorrere un po' meno uguali le une alle altre, fino a quando una mattina Emilio nota che i coniugi Modesto e Dolores sono assenti dalla sala ricreativa. Apprende così che entrambi sono stati trasferiti al piano superiore della struttura, predisposto per accogliere gli ospiti ormai in fase terminale.
Leggendo nella triste vicenda capitata agli amici ciò che un giorno inevitabilmente sarà anche di lui in Emilio sorge inarrestabile il rifiuto della propria patologia che lo porta perfino a negarla in presenza dei medici e del personale sanitario. I giochi e le piccole sfide a cui Michele lo sottopone continuamente, il raccontarsi agli altri apprendendo così com’erano le loro vite e la speranza che un giorno tutti insieme riescano a fuggire lo aiutano a distrarsi e ad allontanare il pensiero del piano di sopra. Sia chiaro, non è la consapevolezza della morte a spaventarlo, o almeno essa è assai meno importante rispetto alla paura di perdere anche gli ultimi ricordi, di non riconoscere più i propri cari, non potersi rendere conto di chi è stato, insomma che la fine della sua mente arrivi prima di quella del suo corpo.
Eppure il male inesorabilmente progredisce e sarà ancora una volta Michele, resosi conto che non bastano più i suoi trucchetti per impedire all’amico di essere trasferito, a prendere una coraggiosa quanto folle decisione: prendere Emilio, la dolce signora Antonia che da troppo tempo aspetta un gesto d’affetto dai suoi familiari, chiunque abbia lo spirito di volerci provare e scappare, questa volta davvero.
A dieci anni dalla prima pubblicazione avvenuta nel 2007 in Spagna e l’anno successivo nel nostro paese il pluripremiato racconto di Paco Roca (Gran Guinigi al Lucca Comics 2008 tra gli altri), da cui è stata tratta anche una serie animata, acquista di fronte alle derive dell’ultimo periodo un carico di significati e di spessore emotivo forse ancor maggiore. Il tratto poetico della scrittura, l’asetticità e il senso di stasi nella rappresentazione della casa di riposo contrapposto ai colori vivi nei ricordi dei protagonisti rendono “Rughe” un bellissimo, commuovente ritratto della terza età quanto una marcata denuncia al vuoto del nuovo millennio e della sua prima generazione.
All’educazione rigida improntata sul rispetto reciproco, alle spalle dritte e al senso di una dignità da non barattare con nulla al mondo si contrappongono commenti come “i vecchi non devono votare” letti all’indomani dei risultati sulla Brexit e il volto sfregiato di un’insegnante in una scuola del casertano, espressioni di un tempo impoverito che a causa dell’incapacità di ascoltare e di saper imparare da chi è venuto prima lascerà giusto un paio di cellulari, e niente altro, a chi verrà dopo.
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