“Bugiardo!” è un racconto di Isaac Asimov facente parte dell’antologia “Io, Robot”. Pubblicato nel 1941 sulla rivista Austin Science Fiction, tra le sue pagine l’autore cita per la prima volta le Tre Leggi della Robotica.
Prima legge: un robot non può recare danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
Seconda legge: l’automa deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
Terza legge: egli deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
Nel 1985, dopo quasi mezzo secolo di progresso senza precedenti nel campo della tecnologia, sanguinosi conflitti e quarant’anni di guerra fredda, nel romanzo “I robot e l’Impero” Asimov aggiunge una quarta legge per regolare il rapporto tra gli uomini e le macchine.
Legge 0: un robot non può recare danno all'umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l'umanità riceva danno.
La Londra del 2119 è il cuore pulsante di un mondo in cui tutto o quasi si muove con l’ausilio degli automi. La “Doppler Living” dell’Ingegnere Kayn Doppler è l’industria leader nel settore della produzione di Intelligenza Artificiale. Edward Sharp ci lavora da poco tempo, ma i risultati ottenuti nel campo della progettazione gli hanno consentito di mettersi rapidamente in luce al punto di guadagnarsi un invito a cena nell’attico dove vive il capo. La cosa genera una certa invidia nei colleghi: essere ammessi al tavolo di Doppler è un privilegio concesso a pochi, un’occasione da cogliere per dare una scossa alla propria carriera.
Arrivato nel lussuoso appartamento Sharp fa conoscenza degli altri commensali. Ci sono i principali soci in affari e finanziatori della Doppler Living, la sensuale responsabile della comunicazione, la giovane nipote dell’ingegnere con il fidanzato e il fidato medico. Ad occuparsi del servizio è Glenda, il computer da cui dipende il funzionamento dell’intero grattacielo e che regola le mansioni della squadra di robot impiegati presso lo stabilimento. L’evento in questione riguarda la presentazione del nuovo modello di Intelligenza Artificiale da lanciare sul mercato, un prototipo di cui tutti i presenti sono ancora all’oscuro ma qualcosa va storto. Durante il banchetto l’ingegnere si sente male e prima che il Dottor Heinz e gli altri possano fare qualcosa muore. La dinamica del decesso e la schiuma che fuoriesce dalla bocca del cadavere non lasciano dubbi: la diagnosi è avvelenamento. Kayn Doppler è stato ucciso. Da uno dei presenti.
Dieci invitati, e ognuno di essi potrebbe essere l’omicida. In una situazione del genere un essere umano chiamerebbe la polizia, racconterebbe come si sono svolti i fatti, si mostrerebbe desideroso di collaborare per evitare di attirare i sospetti su di sé nel qual caso farebbe presente il proprio alibi. Tenterebbe, insomma, di comportarsi nel modo più razionale possibile.
Glenda, però, non è un uomo. Obbedisce ad algoritmi prestabiliti e risponde solo ai comandi del suo padrone. In caso di assassinio di quest’ultimo il protocollo è chiaro: l’unico obiettivo da perseguire è l’eliminazione fisica del responsabile, ad ogni costo. Le porte dell’appartamento vengono sbarrate, i vetri delle finestre oscurati e qualsiasi via di comunicazione con l’esterno inibita. Data l’impossibilità di determinare in maniera oggettiva chi sia il colpevole tra i presenti il computer si atterrà alla direttiva principale. Se l’assassino di Kayn Doppler non confesserà spontaneamente entro due ore, tutti i sospettati verranno eliminati.
“La legge Zero”, numero 60 del mensile “Le Storie” è un riuscito esperimento di contaminazione tra Giallo e Fantascienza. Inutile dire che avendo un minimo di cultura in fatto di letteratura mistery si capisce immediatamente che la struttura della trama si rifà al capolavoro (uno dei tanti) di Agatha Christie “Dieci piccoli indiani”. Dieci estranei vengono convocati su un’isola mediante uno strano invito. Quando capiscono di essere caduti in trappola il meccanismo si è già avviato, e uno alla volta inizieranno a morire nello stesso modo degli indiani protagonisti di una macabra filastrocca. L’assassino è, per forza di cose, uno di loro.
Giovanni Eccher e Valentino Forlini inseriscono la variabile “robot”, caratterizzano bene i personaggi, l’ambiente e il contesto storico in cui i fatti si svolgono senza dilungarsi e giocano eccellentemente sul duello psicologico tra l’organismo biologico e l’essere bionico.
Per il resto il ritmo è costante, l’identità del colpevole difficile da capire e il colpo di scena finale molto ben congegnato.
Nello stesso periodo in cui vede la luce il sequel di Blade Runner, che insieme a Terminator più di tutti ha indagato l’opaco confine tra uomo e macchina, ancora una volta non possiamo che renderci conto di fronte all’estrema fedeltà di Glenda, alla sua risolutezza nel perseguire le volontà del suo creatore di quanto proprio nell’impossibilità di non lasciarci andare alle emozioni e all’istinto di percorrere strade che ci portano inevitabilmente a commettere errori stia la meraviglia dell’essere umani.
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