Collegarsi ad Internet permette di collegare memorie informatiche e menti umane, di “immergersi” in una dimensione che oltrepassa la materia. Il monitor, finestra che apre l’universo reale al virtuale, diviene una sorta di confine ideologico che separa da un mondo potenzialmente infinito, un’infinitezza che ospita un panorama frammentato, inquieto e in continuo divenire, che costringe per la sua instabilità a ridiscutere ogni confine stabilizzato o normativo, a modificare le coordinate percettive e a ridiscutere la separazione tra pubblico e privato che qui si confondono alla stessa stregua del locale e del globale . Internet ha rappresentato una rivoluzione tecnologica al pari della stampa, del telefono, e della radio, un parallelo doveroso in quanto tutti strumenti di comunicazione di massa che, una volta entrati nell’uso, comportarono inevitabili modificazioni adattive sia psicologiche che fisiche che sociali. La stampa, ad esempio, indusse una nuova percezione visiva all’occhio precedentemente educato al manoscritto ma soprattutto legittimò la lettura, grazie alla produzione in serie, fino ad allora appannaggio solo di alcune élite. La rete in particolare ha sviluppato un’orizzontalizzazione della cultura sia nella diffusione delle informazioni, sia nella inedita possibilità di creare informazioni. L’esplosione del web 2.0 ha portato milioni di utenti, dunque, a “connettersi nel collettivo” alla ricerca di una spasmodica presenza visibile ma invisibile nel cyberspazio, luogo del contatto, dello scambio e dell’incontro, una “presenza assente”, smaterializzata dalla fisicità che può assumere dimensioni e risvolti diversi. Indubitabile dunque che oggi l’umanità sia molto più vicina a se stessa anche se lontana. I social network tra cui spiccano Facebook e Twitter, oltre ad una serie di applicazioni per i cellulari, quali Tinder, utili per chattare con sconosciuti hanno finito con il modificare drasticamente le relazioni umane. Da una parte, la connessione è in grado di creare gruppi di forza e potere, si pensi che la primavera araba è cominciata su Twitter dove ha poi raccolto accoliti, dall’altra è in grado di creare dipendenza e dunque patologie psicologiche in alcuni casi anche molto gravi. Pensiamo ancora ad un ulteriore cambiamento che ha riaperto l’antico e controverso dibattito sul rapporto tra oralità e scrittura, già aperto con Platone che nel Fedro definiva la scrittura come una tecnologia aliena (così come nel nostro secolo si è guardato al computer per molti decenni).
La rete con i social network ha inventato una modalità definita “written speech”, un’oralità scritta con cui si parla scrivendo. Il collante che accorpa i membri (nei forum, blog e come qui vedremo nelle chat lines) è infatti una forma vicaria di un’oralità non concessa, capace di sostituire qualsiasi altra urgenza semiotica che generalmente fonda lo stabilirsi di contatti e contratti. Il parlato viene pertanto silenziosamente ri-scritto, secondo nuove regole. E’ importante ricordare, inoltre, che questo tipo di oralità riscopre una vecchia sensorialità. Secondo alcune tesi, i sensi coinvolti oggi nella comunicazione si allontanerebbero da quello della vista, dopo secoli di primato della “visione alfabetica” (successiva appunto alla diffusione dell’alfabeto e dalla scrittura), per tornare verso il senso dell’udito e la conseguente “visione non-alfabetica” indotta sostanzialmente dal perseverare del mezzo televisivo. Nell’oralità scritta, invece, il primato dell’occhio che legge sostanzialmente stringhe di parole, rimette in discussione tale punto di vista, riabilitando la visione alfabetica propria alla scrittura tradizionale, seppur con ovvie differenziazioni. La lingua delle chat, in particolare, riproduce una sorta di oralità impoverita, abbreviata, fatta di elementi linguistici e formule non ritrovabili in altri contesti (si pensi alle numerose abbreviazioni pke, tt, ecc… che consentono una scrittura più veloce, alle sgrammaticature consentite, alle risate, ai segregati vocali, emoticon che dettano istruzioni pragmatiche ed emotive ecc.). Risulta, pertanto, oltremodo necessario indagare oggi sugli effetti di ritorno della written speech, ovvero sulle conseguenze che la sinteticità di espressione può avere sulle capacità argomentative e dialettiche dei giovani. E non solo. Bisognerebbe indagare soprattutto sui cambiamenti comportamentali sia privati che relazionali, sulla necessità mostrata oggi dalla maggior parte dei giovani che vuole essere continuamente presente, osservato, guardato, pubblicizzato (pensiamo alla moda dei selfie) a discapito della riservatezza e dell’intimità che vanno via via scomparendo dai valori di un tempo. Una spettacolarizzazione del sé, dunque, che iniziato in principio con trasmissioni di basso profilo come i reality show, si è esteso poi alla rete stimolando un bisogno aberrante di vetrinizzazione del proprio vissuto, quasi l’epifania di un territorio psichico pervaso dalla paura dell’esclusione che ripropone in maniera moderna l’antico principio dell’horror vacui.
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